Santa Rosa da Lima, il calore dell’incontro

Mi chiamo Rossana, ho 56 anni e, nel momento in cui lo scrivo, mi rendo conto che Santa Rosa da Lima fa parte della mia vita da quando di anni ne avevo sette.

Ed è con gli occhi di quella bambina che voglio iniziare a raccontarvi la mia esperienza in questa comunità, almeno per i suoi primi anni di vita.

Con i miei genitori sono sempre andata a messa la domenica, ma perlopiù in chiese diverse della zona.

Una domenica siamo però andati in un posto molto strano, che non aveva certo l’aspetto di una chiesa. Era la primavera del 1974.

Anni dopo ho poi saputo che il locale era stato donato dalla signora Rosa Zucco nel 1956 e non so con esattezza da quando era diventato un luogo di culto.

Si entrava da un passo carrabile, al numero 70 di via Beaulard e dopo un primo tratto si arrivava ad un basso fabbricato al cui interno c’era in effetti una chiesa. Le sedie erano come quelle di scuola (peraltro non particolarmente comode) e l’altare era sul lato lungo, nella parete di fronte a quella in cui c’erano le finestre.

Nel corso degli anni è stata poi cambiata la posizione dell’altare: è stato messo sul lato corto al fondo. In questo modo la piccola chiesa aveva un’unica navata centrale, rendendola più simile alle altre chiese.

Mi ricordo che mamma e papà alla fine della messa si erano messi a parlare con il sacerdote che aveva presieduto e con un’altra persona che poi ho capito essere anche lui un prete; si trattava di don Sandro Faranda e di don Alvise Alba.

Mi sono piaciuti subito e credo anche a mamma e papà, visto che nel giro di pochi giorni mamma mi ha detto che avrei iniziato a fare catechismo con lei e con altri bambini. La cosa particolare è che questa chiesa aveva solo in pratica due/tre stanze per gli incontri e le attività in un appartamento al piano terra nella casa vicina e quindi il mio gruppo di catechismo si riuniva a casa nostra.

Eravamo 7/8 bambini; mamma metteva la prolunga al tavolo della cucina e stavamo un po’ strettini, ma andava bene così ed era molto divertente e bello stare insieme così, iniziando a conoscere Gesù.

Mamma poi metteva sempre qualche biscotto e succo di frutta e si faceva merenda insieme; una volta al mese veniva poi un altro sacerdote della parrocchia di Pozzo Strada (Natività di Maria Vergine), don Piero Gambino (don Pierino). Veniva con la chitarra e ci insegnava dei canti che poi avremmo cantato in chiesa.

Ecco perché mi viene spontaneo dire che per me Santa Rosa “è casa”, perché di fatto è entrata nella mia casa e poi a far parte della mia vita con le persone che ho avuto modo di conoscere.

E di persone ne ho conosciute tante (tra queste anche mio marito Mauro) e per questo mi sento molto grata.

Oltre al catechismo, che poi ha iniziato a svolgersi in quelle stanze dell’appartamento legato alla chiesa, i miei genitori sono stati coinvolti anche nella creazione e conduzione di un gruppo famiglia, e quindi poi nel gruppo per la preparazione dei fidanzati.

Nel giro di pochi anni, intorno a quello spazio in fondo così piccolo e sacrificato si è costituita una comunità di persone sempre più numerosa e fortemente motivata dalla voglia di condividere un’esperienza di Chiesa basata sull’ascolto della Parola, la partecipazione all’Eucaristia e esperienze di gruppo e condivisione.

Penso anche alla realtà giovanile, all’Azione Cattolica Ragazzi e ai vari gruppi che si sono creati. Quello che mi ha sempre colpito dell’esperienza di quegli anni era il fatto che lavorassero insieme giovani e adulti. Per esempio, i miei genitori sono stati anche educatori dei gruppi medie insieme a ragazzi e ragazze di poco più di vent’anni.

Per me è stato quindi molto naturale che a poco più di diciassette anni mi venisse proposto di condurre un gruppo di catechismo di terza elementare (e ricordo molto bene gli incontri di preparazione con don Sandro e con gli altri catechisti).

Uno degli aspetti sicuramente più vivi e fecondi per la crescita del senso di comunità sono state poi le giornate comunitarie che si organizzavano periodicamente. Non avendo dei locali si andava dai Fratelli delle Scuole Cristiane in corso Trapani, dove si riunivano per le loro attività i gruppi medie il sabato pomeriggio.

La giornata era incentrata su un tema che veniva poi ripreso in gruppetti di confronto e condivisione: dopo la messa c’era poi il pranzo condiviso. Ripensando a quelle giornate mi rendo conto di quanto sia stato importante questo aspetto di convivialità per far crescere il senso di comunità che ancora si avverte a Santa Rosa.

Le radici del nostro essere comunità e di quel “respiro di accoglienza” che ci contraddistingue da sempre sono convinta che arrivino da qui.

E poi siamo diventati parrocchia ed è arrivato come primo parroco don Ettore Rollè nella primavera del 1983.

Don Ettore si è inserito nella realtà di Santa Rosa sapendo valorizzare la pastorale già presente con la sua umanità e il suo stile molto personale.

Sinceramente non sono la persona più adatta per darne una valutazione obiettiva in quanto è stato per me un grande amico, oltre ad essere stato un punto di riferimento come sacerdote nel mio cammino di fede.

Solo due immagini, secondo me molto significative e che molti dei “veterani di Santa” si ricorderanno: don Ettore che si toglieva i paramenti alla velocità della luce e alla fine della messa domenicale era subito fuori sul marciapiede a salutare e ad augurare la buona domenica avendo una parola scherzosa per tutti e don Ettore nella stanza più grande dell’appartamento, seduto a capotavola, con i suoi appunti davanti, i giovedì sera per la catechesi adulti.

Credo che tutto questo abbia contribuito a costruire la Chiesa fatta di fraternità e condivisione che non ha bisogno di tanti muri per vivere e progredire.

Don Ettore si è comunque impegnato molto per far sì che i muri di Santa Rosa fossero più spaziosi, ma questa è un’altra storia che altri avranno modo di raccontare.

Io mi fermo qui, ricordando solo due nomi tra le tante persone che sono passate tra quelle mura e che credo meritino di essere ricordate: padre Ruggero Balboni con la sua grande signorilità e profondità d’animo e l’amato don Carlo Franco. Credo che pochi sappiano che quando era un giovane sacerdote abbia celebrato tante messe a Santa Rosa: qualche anno fa, quando ho frequentato i corsi dell’Istituto diocesano di musica e liturgia di cui era direttore, quando ha visto la mia parrocchia di provenienza si è commosso.

Questa sua commozione legata al ricordo della sua esperienza presso la nostra comunità ritengo che sia il modo migliore per chiudere queste note insieme al mio grazie a tutti voi per il cammino percorso insieme (e per quello che abbiamo ancora davanti).

Rossana Arietti

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